Pochi forse
ricordano che a partire dal Rinascimento e fino almeno alla Rivoluzione
Francese gli Stati misero in atto una politica cosiddetta ‘mercantilistica’.
Le monarchie
dell’Europa post feudale erano convinte che per creare uno Stato potente
bisognasse accumulare molto oro, e che questo si potesse fare controllando una
quota sempre più grande del commercio mondiale.
Essenzialmente,
come fa notare Ian Bremmer, uno dei massimi esperti mondiali di relazioni
internazionali, questo poggiava su due ipotesi sbagliate:
La prima ipotesi era che la ricchezza
corrispondesse alla valuta (che allora era aurea) e che bastasse quindi incrementare l’offerta di
valuta per aumentare la ricchezza. Se questo sembra qualcosa di sentito
recentemente è perché lo è, e ce ne siamo già abbondantemente occupati.
Facciamo solo notare a corollario adatto all’epoca di massima applicazione del
mercantilismo che la Spagna iniziò ad importare quantità impressionanti di oro
dalle Americhe e che la conseguenza diretta fu che per un periodo l’argento
valeva più dell’oro. Se qualcuno pensasse che questo fosse dovuto
all’inflazione avrebbe ragione.
La seconda ipotesi era che il
commercio internazionale fosse fisso, e che quindi per catturarne una quota
l’unico modo fosse sottrarla ad altri. Questo portò tra l’altro a vari conflitti armati (per cui le
relazioni internazionali di quell’epoca e di quella immediatamente successiva
vengono talvolta ricordate come ‘diplomazia delle cannoniere’), oltre che alla
creazione di vari monopoli concessi dai vari monarchi a gruppi a capitale pubblico, privato o misto. Alcuni
esempi per tutti le celeberrime Compagnie delle Indie Orientali ed Occidentali.
Che poi i monopoli suddetti abbiano portato ad una corruzione molto estesa è un
fatto storico inoppugnabile.
Altro fatto
storico inoppugnabile è che invece con l’apertura dei commerci i volumi
scambiati aumentano e che solitamente tutti i Paesi che ne prendono parte
diventano più ricchi. Lo sappiamo non dal tempo di Adam Smith, ma da quello di
Senofonte, che purtroppo pochi adesso leggono al di fuori dei Licei Classici, e
anche in questi istituti si rifugge dai testi economici. Altro discorso è che la
crescita della ricchezza non sia ugualmente distribuita, ma dipende, in poche
parole, dalla capacità di fare cose che il mondo vuole comprare. E’
essenzialmente questo il motivo per cui alcune imprese italiane e francesi del
settore auto patiscono (non fanno auto che il mondo vuole), mentre la Ferrari
non ha certo problemi a pagare gli operai, che con la loro alta artigianalità
sono infatti una delle fonti di vantaggio competitivo della casa di Maranello
(Solow docet).
Ma
concentriamoci sull’idea che l’economia, come il commercio, sia una grandezza
fissa. Su quest’ipotesi, più o meno consapevolmente, poggiano moltissime idee
di quelli che ormai da tempo abbiamo battezzato Lorsignori.
Lorsignori
partono da questa idea quando vorrebbero convincerci che mandare in pensione i
vecchi crea posti di lavoro per i giovani, quando invece è la maggior ricchezza
prodotta che crea la domanda che sostiene il lavoro. Anche di questo ci siamo
già occupati in un post precedente: se fosse vero quello che sostengono
Lorsignori, nessun lavoro produrrebbe alcun valore; a parte il fatto che questo
è apertamente un discorso senza senso, anche lo stesso Marx parte nel Capitale
dall’idea che lavoro sia uguale a valore. La stessa ipotesi di fondo, poi,
sottostà all’idea che si debbano introdurre barriere commerciali per proteggere
questa o quella categoria, se non addirittura ‘la base industriale’. A parte il
fatto che la base produttiva si protegge innovando e specializzandosi per,
appunto come sopra, ‘fare cose che il mondo vuole’, anche la stessa idea di
proteggere un’industria crea una situazione per cui i cittadini di uno Stato
protezionista pagano per mantenere un privilegio ad una parte di aziende che
così non sono neanche spinte a migliorare, rendendo sempre maggiore la quota
pagata da tutti. In Italia purtroppo sappiamo che situazioni in cui molti
pagano i privilegi di pochi sono così diffuse da aver minato le basi di una sana e
prudente gestione anche dello Stato stesso.
Abbiamo
visto che la torta (l’economia nazionale ed internazionale, ma anche il
commercio mondiale) NON è fissa e che a seconda di come si fanno le fette
questa può diventare più o meno grande.
L’applicazione
più interessante del principio della torta e delle fette è comunque quella delle
varie teorie del complotto che si alimentano spesso dei peggiori pregiudizi.
L’idea è più
o meno che ci sia un gruppo di persone, vicino a grandi aziende e banche
d’affari multinazionali, che tira le fila dell’economia e della politica
mondiale. Ultimamente poi si dice che questo gruppo (generalmente possiamo
chiamarlo anche ‘la cupola dei ricchi’) abbia creato una serie di strumenti,
tra cui l’Euro e l’Organizzazione Mondiale per il Commercio, per condurre una
sorta di lotta di classe post-marxista a danno degli altri, poveri ma
soprattutto classe media. Questi strumenti porterebbero al progressivo
impoverimento della classe media per permettere ai ‘ricchi’ di catturare una
percentuale maggiore della ricchezza mondiale.
Perché
quest’idea funzioni bisogna che una di due condizioni si verifichi: o la torta
è appunto fissa o almeno la diminuzione della classe media non ne influenza la
grandezza presente, ma soprattutto futura. Infatti Lorsignori sostengono che ‘i
ricchi’ sono organizzatissimi e guardano molto lontano.
Abbiamo già
visto che la torta non è fissa, quindi non ci resta che vedere se la classe
media abbia o meno impatto sulla crescita economica.
Ebbene vari
studi, tra i tanti quelli del Dartmouth College e di Yale, dimostrano invece
che la classe media non sia conseguenza, ma motore stesso della crescita
economica, in particolare nei Paesi sviluppati. Ovviamente poi la stessa classe
media è la maggior produttrice di risparmio e consumatrice di prodotti ad alto
valore aggiunto come quelli elettronici, per cui sia le banche che la multinazionali
hanno interesse a che esista.
L’ipotesi
della ‘cupola dei ricchi’, per reggere, avrebbe essenzialmente bisogno che
questa stessa cupola non fosse in grado di effettuare calcoli di valore
temporale su progetti, ovvero prevedere flussi di cassa o di ricchezza futuri e
scontarli a valore attuale. Peccato che i vertici di banche d’affari e
multinazionali facciano questo di mestiere, come saprebbero anche Lorsignori se
avessero mai lavorato in una di queste istituzioni o almeno avuto studi
adeguati.
A corollario
facciamo anche notare che una politica di redistribuzione del reddito
attraverso la fiscalità, oltre a prestarsi a manipolazioni più o meno
corruttive, farebbe diminuire la torta in quanto tutti i Governi che, a livello
mondiale, hanno promesso di tassare i ricchi, quando hanno alzato le tasse lo
hanno fatto sulla classe media. Inoltre la logica imporrebbe come mezzo di
equità non una redistribuzione (che per definizione avviene ex post), ma una
vera meritocrazia che renda possibile il miglioramento della condizione sociale
dei migliori. Il motivo per cui questo non viene fatto è che ciò implicherebbe
per forza di cose il peggioramento della condizione sociale dei peggiori, e
siccome spesso gli amici degli amici di certi politicanti hanno posizioni non
giustificate dal loro merito Lorsignori non gradiscono.
Infine per
la bellissima metafora della torta non ringrazierò mai abbastanza il mio
vecchio Professore dell’Università di Firenze Carlo Vallini, mente eccelsa con
irresistibile senso dell’umorismo di marca tipicamente toscana.
Ciao Francesco, apprezzo sempre i tuoi lavori; qui vorrei suggerirti un'integrazione del concetto di meritocrazia, che interpretato come semplice "miglioramento della condizione sociale dei migliori e logico peggioramento di quella dei.. non abbastanza migliori" spalanca le porte al rifiuto del merito nel nostro paese delle due chiese. Questa è una visione 700esca del merito. In Italia questo concetto potrà sfondare solo se per meritocrazia si intende creare un sistema che premi il valore e nel contempo dia continue opportunità (agli altri) per scoprire/valorizzare il naturale talento che c'è in ogni individuo. Con stima :-) Mauro Mamini Etrusco Arezzo Hotel
ReplyDeleteNon potrei essere più d'accordo.
ReplyDeleteIn effetti la globalizzazione ha avuto l'effetto di creare enormi possibilità di guadagno, ma solo per i migliori: che invece una volta avrebbe più o meno campato ora ha poco o niente.
Lasciare indietro quelli che qualcuno ha definito 'i perdenti della globalizzazione' non è etico, ma soprattutto non conviene sia dal punto di vista politico, sia da quello economico.
Per superare il problema però on possiamo tagliare le gambe di chi ce la fa da solo, ma dobbiamo fare come tedeschi e svedesi, ovvero offrire la possibilità di un programma di skills update che renda tutti 'a prova di cinese'. E' l'unico modo in cui tutta la società guadagna senza danneggiare nessuno: la situazione che gli economisti chiamano ottimo paretiano (dal grande economista italiano Pareto, che tra l'altro insegnò anche a Firenze).
Credo urga un nuovo post su questo tema, che prima o poi troverò modo di scrivere. Grazie per lo spunto.