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Friday 16 November 2012

Del moltiplicatore, ovvero perché tagliare spesa e tasse è meglio di tassare e spendere



Negli ultimi tempi si sente molto parlare di una visione alquanto equivocata dei predicamenti di Lord Keynes.

Partiamo con l’enunciarli e spiegare perché non hanno senso, per poi passare al perché questi argomenti non hanno neanche molto a che vedere col pensiero di Keynes stesso.

La ricetta proposta da più parti per uscire dalla crisi è essenzialmente più spesa di Stato.

Va da se’ che lo Stato da qualche parte i soldi deve trovarli. E allora le fonti sono essenzialmente 3. Ne vedremo dopo una quarta.

1-      Aumentare le tasse. La pressione fiscale ha raggiunto in Italia un punto eccessivo, esemplificato dal fatto che un aumento della pressione fiscale oggi porta ad una diminuzione delle entrate dello Stato.  Avvertenza ai politico-tecnici: il moltiplicatore non è fisso e le elasticità nemmeno (v. sotto), ripassate Laffer

2-      Prendere a prestito. La situazione in Italia è che lo Stato paga il 5% per finanziarsi e il debito va ridotto: anche chi non pensasse sia il caso deve fare i conti con il costo del debito, e non può non convenire che chi prende a prestito al 5% deve trovare investimenti che rendano di più. Dove sono?

3-      Stampare moneta. A parte che adesso la creazione di moneta è in carico alla BCE, c’è chi dice che se lo Stato prendesse il controllo delle presse da stampa, il problema sarebbe risolto. Sono coloro che credono nella macchina dei soldi di Babbo Natale (e di questi ci siamo occupati precedentemente. Si veda http://lettotralerighe.blogspot.it/2012/10/babbo-natale-e-la-macchina-dei-soldi.html). In sintesi è la via seguita dallo Zimbabwe e ancor prima dai vari John Law (Mississippi bubble): se ci fossero dubbi non finisce mai bene

Essenzialmente queste tre strade non sono percorribili al momento.

Ne esiste però una quarta, e cioè ridurre la spesa di Stato. Lorsignori (sempre loro sono) pensano, talvolta in buona fede, che riducendo gli sprechi si possano liberare risorse (e fin qui hanno ragione) da destinare a nuova spesa di Stato.

Adesso siamo chiari: se lo Stato tassa per spendere (o per investire, come dicono Lorsignori, ma il meccanismo è lo stesso) un euro deve passare per la macchina statale che incassa (l’autorità fiscale) e poi per la macchina statale che lo investe (di solito enti parastatali o ministeri). Al momento in cui questo euro arriva ad essere speso, va bene se è dimezzato (in effetti oggi lo Stato controlla il 55% del PIL: presumendo che il costo per unità di prodotto sia costante, un euro sarebbe ridotto a circa 50 centesimi all’atto di investirlo).

Naturalmente se invece quell'euro fosse risparmiato si eviterebbe il passaggio per la macchina di riscossione, ma dovrebbe comunque passare per quella di allocazione. L’euro sarebbe quindi (presumendo che le due macchine costino la stessa cifra) circa 75 centesimi (arrotondiamo per semplicità).

Adesso un passaggio logico abbastanza facile: se invece di dover spendere per spendere (effettivamente è così dato che c’è una macchina che alloca le risorse, e questa costa soldi) se l’euro risparmiato viene retrocesso ai cittadini ed alle imprese in forma di minori tasse, ecco che invece di 75 centesimi ridiventa un euro intero! Consideriamo anche che, anche se la macchina statale non costasse niente (o se fosse vero che l’euro non tassato non avesse costi, che è l’argomento principe dei sostenitori della spesa), gli impiegati pubblici sono meno produttivi di quello privati in ogni parte del mondo. Per l’Italia il differenziale di produttività è circa del 40% (dati Corte dei Conti, non un ente propriamente liberista).

Vedete signori keynesiani: questo semplice ragionamento è IL motivo per cui il moltiplicatore positivo è un mito. Se n’era accorto Barro, se n’era accorto Friedman e ancora prima se n’era accorto Hayek. Lo sa anche Stiglitz, ma fa finta di non accorgersene (in uno dei suoi paper più noti esplicita chiaramente di ipotizzare che il costo pubblico e privato sia lo stesso: evidentemente sa che non è così).

Quanto al punto finale, ovvero quanto di quello proposto da Lorsignori sia in linea con il pensiero di Lord Keynes, si consideri che per l’economista inglese va bene che lo Stato abbia un deficit durante una recessione (per compensare il calo della spesa da parte dei privati), ma a patto che (e qui casca l’asino) abbia risparmiato il surplus nei tempi di espansione economica. Succede che l’Italia, ma anche praticamente tutti gli Stati sviluppati, abbia non solo speso tutto, ma anche preso a prestito. Adesso per aver speso troppo ci troviamo in difficoltà a ripagare il debito. Non è forse logico che i creditori richiedano un rendimento maggiore in virtù del maggior rischio che si accollano prestandoci? E Lorsignori continuano a dar la colpa alla speculazione brutta e cattiva: da che mondo è mondo chi paga i suonatori sceglie la musica, perciò chi vuol mantenere spazi intatti di sovranità deve accettare che questo passa per una riduzione del debito. A quel punto l’orchestra la pagheranno i cittadini, e potranno decidere se ascoltare Bach o Vivaldi (o Beethoven o Verdi, a seconda dei gusti).

Nota a latere sulle elasticità diverse e non costanti: i dati dimostrano (v. vari studi di Alesina) che l’economia risponde in modo diverso a riduzioni del debito attuate con l’aumento delle tasse a quelle attuate con la riduzione della spesa. In particolare la riduzione della spesa fa contrarre meno il PIL di quanto non lo facciano nuove tasse.

Ci sarebbe poi anche l’argomento, indirettamente proposto da Laffer, secondo il quale aumentare le tasse porta ad effetti progressivamente peggiori sulla crescita, ovvero per ogni punto di aumento delle tasse l’impatto negativo è maggiore di quello del punto precedente. Questo però è un altro argomento, ed è anche più complesso (in sintesi si può dimostrare attraverso l’uso delle real options, o opzioni reali, come fa ultimamente Merton, ma la comprensione dei passaggi presuppone conoscenze matematiche alquanto avanzate, e da un lato questa non è la sede, dall’altra la maggior parte di Lorsignori sa a malapena contare). Per ora accontentiamoci di quanto esposto con buona pace del keynesiani, con i quali per quanto visto sopra se Keynes fosse vivo oggi sarebbe molto probabilmente in disaccordo.

2 comments:

  1. Caro Francesco, non citare Laffer a sproposito. La cosiddetta curva di Laffer, come sostenuto dallo stesso Laffer è stata formulata in tempi moderni da J.M. Keynes. Come puoi leggere qui: http://www.heritage.org/research/reports/2004/06/the-laffer-curve-past-present-and-future

    Keynes inventò un modo per defibrillare l'economia inglese, ma se si usa un defibrillatore su una persona sana lo si uccide, nel medesimo modo un economia.

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    1. Infatti dico anch'io che fosse vivo Keynes i keynesiani li piglierebbe a calci.
      Certo che il concetto è di Keynes, che non per nulla ne fa ceno anche nella General Theory quando dice che l'effetto della spesa a deficit non funziona in certi casi compreso quello di 'confiscatory taxation'. Considerati i carichi fiscali medi del periodo in cui scriveva si fa presto a considerare confiscatoria gran parte della tassazione di oggi,

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