Qualcuno ha
giustamente notato che un mondo globalizzato ed interconnesso sta diventando
un’economia delle superstar. Questo significa che chi ha un talento di alto
livello e/o un’idea migliore di tutte le altre trova adesso un potenziale
mercato che prima non avrebbe potuto accedere se non con grande difficoltà.
L’esempio più
immediato è un’app per smartphone: chi programma la migliore app in assoluto
per, diciamo, prevedere il tempo, ha un potenziale mercato di miliardi di
utilizzatori, e potrà guadagnare molto grazie alle pubblicità che riesce ad
attirare. Naturalmente se lo stesso programmatore avesse creato un codice di
valore comparabile anche un paio di decenni fa, non avrebbe potuto che aver
accesso ad una frazione della clientela potenziale, e di converso dei guadagni.
Il rovescio della
medaglia è che chi arriva anche solo secondo rischia di non avere nessuna fetta
della torta a disposizione, dato che questa viene tutta accaparrata dal
vincitore; figuriamoci poi chi arriva più in basso.
Lo stesso, anche
se in modo meno pronunciato, vale ovviamente anche per altri tipi di talento,
tra cui ad esempio quello manageriale e quello medico: un ottimo dirigente o un
chirurgo eccezionale hanno oggi la possibilità di essere conosciuti in tutto il
mondo in modo relativamente facile, e di spedire il loro curriculum ai quattro
angoli del globo senza alcuna spesa grazie alla posta elettronica. Ammesso che
conoscano la lingua locale, ma in alcuni casi basta addirittura parlare la
lingua franca del mondo, ovvero l’inglese, essi possono trasferirsi dovunque
vogliano per avere il massimo ritorno sulle proprie capacità.
Quindi la
globalizzazione conviene molto a pochi: cosa succede agli altri? Chi ha talento
e conoscenze medie in passato sarebbe comunque riuscito a guadagnarsi da
vivere, ma oggi deve fare i conti con una concorrenza agguerritissima formata
da lavoratori dei Paesi emergenti disposti a lavorare per una frazione di
quello che richiederebbero un italiano o un francese. Se fino ad ora,
oltretutto, questo fenomeno ha interessato soprattutto lavori a bassa
specializzazione, adesso i laureati dei paesi emergenti stanno imparando anche
alcune professioni di più alta gamma, come i servizi contabili e quelli legali:
anche professionisti che fino a pochi anni fa erano relativamente al sicuro
stanno quindi diventando a rischio.
I Paesi
occidentali, quindi, stanno andando verso un mondo a due velocità: da una parte
sempre meno persone che, grazie al proprio talento, diventeranno sempre più
ricche, dall’altra un crescente numero di ‘perdenti’.
Alcuni
ultra-liberisti potrebbero pensare che questo sia giusto: alla fine in questo
modo il talento varrà progressivamente più delle parentele o della classe
sociale di partenza, e alla fine chi merita meno avrà meno.
La tentazione di
cadere in questo pensiero potrebbe però risultare fatale soprattutto alle
economie occidentali, abituate ad un alto tenore di vita e ad istituzioni
rappresentative.
La soluzione
proposta in alcuni ambienti vicini a Lorsignori è però anche peggiore: innalzare
barriere protezionistiche per mantenere i livelli raggiunti, infischiandosene
del mondo. Questa soluzione è particolarmente dannosa in quanto porta ad una
progressiva perdita di competitività di tutto il sistema chiuso, a danno
soprattutto della creazione di ricchezza. Mantenere livelli di reddito non
giustificati dalla capacità di produrre ricchezza, infatti, significa togliere
a chi può produrla la possibilità di farlo, almeno in parte. Questa è la
situazione che molti Paesi europei stanno vivendo adesso. Il meccanismo ricorda
quello della Grande Muraglia, eretta in Cina per proteggersi contro le
invasioni dei Mongoli con grande dispendio di mezzi e mantenuta con gran numero
di guardie. Com’è noto i Mongoli aggirarono la muraglia e conquistarono la
Cina.
Esiste dunque una
soluzione diversa?
La risposta è sì,
e non dobbiamo neanche guardare troppo lontano dall’Italia per trovarla.
Nelle decadi
passate sia la Germania che, forse ancora di più, i Paesi scandinavi, hanno
infatti attuato riforme strutturali che hanno permesso loro, nonostante la
crisi, di continuare e crescere e a creare posti di lavoro. Questa formula ha
dovuto superare l’idea di ‘tutto a tutti in cambio di niente’ per spostarsi
verso programmi di sostegno al lavoratore invece che all’impresa e di
educazione continua che mantenga le competenze ‘a prova di cinese’.
Il sistema
attuale in Italia per chi perde il lavoro, ad esempio, è basato sulla Cassa
Integrazione: questa essenzialmente protegge il posto di lavoro, e non il
lavoratore, di imprese ormai non più competitive che spesso, infatti, finiscono
per chiudere lo stesso dopo agonie più o meno lunghe. Chi guadagna da
situazioni del genere sono imprenditori spesso incapaci di leggere il mercato,
a scapito sia dei loro impiegati che della competitività del sistema, che
invece di impiegare risorse per diventare più competitivo le spreca per
mantenere una situazione esistente che, in periodo di cambiamenti epocali, non
può essere difesa a lungo.
Molto meglio
quindi concentrarsi sul lavoratore, come, anche se in modi diversi, fanno
Germania, Svezia e Danimarca. Qui chi perde il lavoro riceve un reddito
sostitutivo condizionato alla frequenza di corsi di riqualificazione il cui
successo è tenuto sotto stretto controllo. In questo senso il lavoratore riceve
un aggiornamento che, partendo dalle proprie capacità, le espande e le rende
adatte a resistere alla competizione globale.
Chi chiede
dignità non può volere qualcosa per nulla o accettare di essere pagato più di
quello che produce. Può però chiedere di essere aiutato a guadagnare il giusto
frutto del proprio lavoro, il che si fa rendendo il lavoro più produttivo.
Questo sistema,
che ha dimostrato di funzionare bene, ha bisogno ovviamente anche di un
ambiente di certezza e rapidità della giustizia civile e buon funzionamento
della macchina burocratica: quindi mettere a posto questi aspetti per primi è
importante per il successo di qualsiasi iniziativa.
E’ anche
imperativo per tutti, anche coloro che hanno al momento capacità al passo con i
tempi, mantenere un livello di competenze sempre all’altezza dei migliori
standard, a pena di perdere molto del proprio reddito in tempi relativamente
brevi.
L’alternativa è
doversi rassegnare: nonostante grandi e costose muraglie, il barbaro passerà.
Siamo ancora in tempo per evitarlo; pensiamoci.
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