C’è stato sempre un gran
dibattere nei circoli economici sulla validità della curva di Laffer. Da quando
la crisi è scoppiata, però, l’Italia si è scoperta non solo avere 60 milioni di
allenatori della Nazionale, ma anche almeno 30 milioni di esperti di politica
economica, fiscale ma soprattutto monetaria; sul fatto che se va bene appena un
decimo di questi sappiano contare come Dio comanda soprassediamo pure.
Per chi non fosse uno di
questi ‘esperti’, la curva di Laffer, mettendo in relazione pressione fiscale
ed entrate dello Stato, indica che passato un certo livello di pressione
fiscale ad un aumento delle tasse corrispondono minori entrate per lo Stato
stesso. Va da sé che questo non è dovuto, come alcuni credono, se non molto
marginalmente all’aumento dell’evasione. Il fatto è proprio che troppe tasse deprimono
l’economia.
Il livello di tasse
passato il quale le entrate scendono, però, non è lo stesso in nazioni o
periodi storici diversi, e questo ha portato alcuni a concludere che la teoria
non valga nulla. E’ quindi il caso di ricordare come è nata la teoria e di
vedere che cosa ne influenzi il punto di flessione. Laffer utilizzava la curva
che ha preso il suo nome per prevedere gli impatti della politica fiscale nello stesso Paese ed in tempi relativamente
brevi.
In altre parole il
livello di tassazione è solo uno dei tanti elementi che influenzano quella che
Keynes chiamava domanda aggregata, attraverso la componente che più o meno tutti
chiamano reddito disponibile, e in particolare la spesa discrezionale. Questa
rappresenta la spesa ‘libera’, ovvero quello che resta dopo aver effettuato le
spese ‘necessarie’ (cibo, salute, casa, bollette). Per inciso l’influenza della
tassazione sul reddito disponibile è vera anche senza presumere vera la teoria
della domanda aggregata (e quindi anche per i non keynesiani), ma qui si
entrerebbe in tecnicismi che è meglio evitare.
Ovviamente ci sono altri
elementi che influenzano la spesa discrezionale. Questi elementi spiegano in
gran parte i differenti livelli a cui la tassazione diminuisce nei diversi
Paesi.
Un esempio pratico: in
Scandinavia le tasse sono notoriamente alte, ma questo non deprime l’economia.
Molto probabilmente questo avviene perché in quei Paesi i cittadini non devono
spendere praticamente mai nulla per istruzione, salute e altro e quindi hanno comunque reddito
disponibile relativamente alto.
L’Italia negli ultimi
anni ha invece agito con una politica fiscale che non poteva non produrre
effetti negativi: infatti lo Stato italiano ha allo stesso tempo alzato le
tasse e ridotto i servizi. I cittadini si sono visti dunque ridurre il reddito
disponibile non solo per effetto delle tasse, ma anche a causa delle maggiori
spese per servizi che devono affrontare. Oltretutto l’aspettativa che è stata
instillata è di ulteriori spese a carico dei cittadini stessi, che quindi
tendono, quando possono, a mantenere una parte del loro reddito ‘sotto il
materasso’, ad ulteriore diminuzione della spesa discrezionale.
Lorsignori a questo punto
ribatterebbero che il problema non è quindi la spesa di Stato, e che basta
spendere meglio per avere un’Italia di tipo svedese. Peccato che la Svezia
stessa, insieme alla Danimarca, abbia capito per tempo che non poteva permettersi il livello di spesa corrente del passato, che era insostenibile per motivi
demografici e di produttività, e da circa una decade abbia proceduto ad una
forte ondata di liberalizzazioni e riforme strutturali che ha aumentato
esponenzialmente la produttività e ridotto il peso dello Stato in rapporto al
PIL anche mentre la media dei Paesi lo aumentava a causa della crisi.
Risultato: economia svedese in crescita.
L’Italia ha già perso
un’occasione d’oro quando, all’ingresso nell’Euro, la spesa per interessi è
calata progressivamente dal 25% del PIL a livelli inferiori al 10%. Mantenendo
i livelli di spesa uguali a prima, il rapporto sarebbe naturalmente calato. E’
più o meno quello che ha fatto la Svezia, dove dal 1993 al 2011 la spesa di
Stato sul PIL è calata del 19%. Ma i politici di casa nostra hanno scelto di
aumentare la spesa corrente, e il risultato è stato quello della Svezia pre
1993: crescita bassa e debito in aumento. Veramente geniale!
L’Italia a questo punto
potrebbe prendere la strada della Svezia, oppure rischia di prendere quella
della Grecia. Ai cittadini la scelta: prevarrà l’impostazione logica o, come
spesso accade nel Bel Paese, quella ideologica?
Grafici tratti da: http://www.americanthinker.com/2012/10/the_swedish_model_government_austerity.html
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