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Wednesday 12 October 2011

Grecia e banche: salvataggio o fallimento?

In molti, specialmente nel centro-nord Europa, ritengono che si dovrebbero far fallire gli Stati e le banche perché è immorale salvarle.
Questa potrebbe essere vista come la soluzione giusta, ma è forse la domanda ad essere sbagliata.
Chi poi pensa di poter controllare gli effetti di una bancarotta guardi il grafico: la crisi greca segue temporalmente in modo quasi esatto la cauta di Lehman. Anche se è vero che correlazione non implica rapporto causa-effetto, questa volta almeno la concausa sembra probabile.
La cosa giusta da fare è attuare la soluzione che costi meno alla collettività e poi renderla moralmente accettabile. Proviamo a spiegare con un esempio.
Un anno prima del fallimento Lehman Brothers aveva un valore di mercato di circa 46 miliardi.
Poco prima del fallimento ne valeva appena 6.
Poniamo pure che un salvataggio potesse costare 50 miliardi (stima per eccesso).
Il mancato salvataggio della banca americana, come tutti sanno, ha fatto partire una spirale negativa che si è ripercossa a tutte le controparti: il conto finale è stato di 5.000 miliardi.
In altre parole, per ogni dollaro non speso per salvare Lehman se ne sono dovuti spendere 100 per ripagare i danni causati dal non averlo fatto: se non fosse chiaro in entrambi i casi si parla di soldi della collettività.
Quindi cosa poteva essere fatto diversamente?
Il primo passo è effettuare il salvataggio, dato che come abbiamo visto sarebbe costato molto meno dell’alternativa.
Ovviamente questo significa che lo Stato, essendo quello che aveva immesso il capitale, diventa proprietario dell’azienda, che deve essere risanata e rimessa sul mercato.
Esiste un precedente: in Svezia nei primi anni 90 la situazione era molto simile a quella in cui si ritrovarono gli Stati Uniti nel 2007: bolla immobiliare e credito facile avevano creato panico e perdita di posti di lavoro. Il governo svedese nazionalizzò le banche, le risanò e poi rivendette le quote, ripagando alla fine il costo dell’operazione: secondo alcune stime i contribuenti svedesi avrebbero addirittura guadagnato, e questo senza contare i maggiori costi che avrebbero dovuto affrontare in caso di crack e relativo contagio.
A questo punto occorre però rendere la soluzione moralmente giusta: non si può infatti pretendere che il contribuente metta mano al portafoglio per poi vedere coloro che hanno messo in pericolo la banca continuare a far soldi.
Questo si potrebbe fare incriminando tutti i componenti del top management per bancarotta, effettuando il sequestro conservativo di tutti i loro beni. In modo rapido (massimo un anno) si dovrebbe riuscire a stabilire chi tra gli alti dirigenti è colpevole: per questi si può procedere alla vendita di tutti i loro averi e alla condanna penale. Coloro che dovessero risultare innocenti, invece, avrebbero restituito il controllo del loro patrimonio e sarebbero reintegrati al loro posto di lavoro.
Quanto sopra dovrebbe essere possibile senza neanche cambiare le leggi vigenti: basta applicarle e creare un precedente. In caso non fosse possibile adesso, le leggi andrebbero aggiustate di conseguenza.
Naturalmente quest’operazione è leggermente più complicata per una nazione. Il punto principale è riconoscere che i politici che portano una nazione alla rovina sono colpevoli e vanno condannati come i dirigenti che portano un’azienda alla bancarotta. Per loro quindi messa in stato d’accusa e sequestro preventivo di tutti i beni.
Gli amministratori dello Stato sarebbero quindi per un periodo di tempo coloro che hanno messo i soldi per salvarlo: nel caso della Grecia l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale.
Questi dovrebbero portare avanti una ricerca su due punti fondamentali: il mancato pagamento delle tasse e le assunzioni in eccesso nella Pubblica Amministrazione.
Ai grandi evasori andrebbe applicato il trattamento dei politici: condanna penale e sequestro dei beni. Gli impiegati in eccesso andrebbero licenziati: hanno comunque ottenuto il loro lavoro in modo poco trasparente e probabilmente con meccanismi di voto di scambio se non di corruzione. Ovviamente i licenziamenti andrebbero effettuati solo dopo un concorso regolare e trasparente che riassuma solo il numero di dipendenti pubblici necessari, per evitare che restino proprio coloro che hanno avuto il lavoro per amicizie e protezioni poco pulite.
Tutto questo però non assolve i cittadini greci per aver votato secondo criteri di convenienza a breve termine causando problemi alle generazioni dei loro figli e nipoti: per questo è giusto che, finché lo Stato non è risanato, venga sospeso il voto. Alla fine anche gli azionisti delle banche salvate, tutt’al più colpevoli di mancata vigilanza, perdono tutto quello che avevano investito.
In futuro, per evitare il ripetersi di crisi sistemiche, è necessario il controllo della liquidità nel sistema, che facilita il debito e la creazione di bolle speculative. Inoltre serve un’autorità che possa operare questi controlli su scala sovranazionale. La BCE è un esempio da seguire in questo senso. Proposte per maggiori ambiti di intervento di Eurostat nel controllare i conti dei singoli stati, per ora bocciate, vanno senz’altro riprese ed approvate.

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