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Monday 28 November 2011

Reductio ad absurdum: perché l’Euro non sparirà


Molti continuano a chiedersi se l’Euro può effettivamente cessare di esistere. Premesso che tutto è possibile, proviamo a dimostrare per assurdo perché uno sfaldamento della Moneta Unica è almeno poco probabile.
Premettiamo che, data la cattivissima gestione della crisi da parte francese, ma soprattutto tedesca, il costo di tenere insieme l’Euro è aumentato, ovviamente in modo esponenziale (come faccia la Merkel con un PhD in fisica a non averlo previsto è un mistero). Data infatti la storia pregressa, sono stati reintrodotti all’interno dell’Unione Monetaria prima il rischio di credito (non è più ovvio che uno Stato non possa fallire: si veda post precedente), e poi il rischio di cambio. Quest’ultimo punto richiede forse un’ulteriore spiegazione. Quando Francia e Germania, in una delle conferenze stampa che hanno seguito uno dei loro tanti (troppi?) incontri bilaterali hanno dichiarato che il restare o meno nell’Euro stava alla Grecia, hanno effettivamente ammesso la possibilità di uscirne. I mercati, logicamente, non potevano non cominciare a prezzare la possibilità di uscita dall’Euro, intesa come percentuale di svalutazione in caso di uscita moltiplicato per la probabilità che il fatto avvenga. La probabile svalutazione monetaria si aggira, secondo molti, intorno al 30-40%. Anche una probabilità di uscita non grandissima, diciamo un 10%, giustifica quindi un aumento degli spread del 3-4%: un’enormità.
 Tutti gli spread da allora sono quindi aumentati notevolmente. In particolare sono aumentati quelli a breve più di quelli a lungo termine. Ovvero il costo di finanziamento di una Stato di cui si percepisce la possibile uscita è adesso maggiore a 2 anni che a 10. Anche se questo non può essere provato, non è escluso che il maggior costo sia da imputarsi appunto al possibile tasso di cambio di una nuova (vecchia) valuta, che da una parte è più probabile nel breve termine che nel lungo termine (se l’Euro sopravvive i prossimi 2 anni è probabile che sopravviva anche i successivi 8) e dall’altra, in ogni caso, avrebbe effetti soprattutto nel breve termine. Il termine sarebbe quello della durata media del debito, che nella periferia dell’Eurozona è appunto intorno a 2-3 anni.
Dato quanto sopra la crisi dell’Euro sta assomigliando sempre di più ad una crisi di Paesi emergenti che avevano deciso di legare la loro valuta ad una più forte. Ci sono molti esempi di queste crisi in Sud America nei decenni passati: in questi casi i Paesi legavano la loro valuta più tipicamente al Dollaro Americano. Ci sono ovviamente differenze tra questi casi e quello dell’Euro, in quanto in Sud America le valute sono sempre rimaste separate (un dollaro era un dollaro ed un peso era un peso). I rischi coinvolto sono però simili: appunto rischio di credito e rischio di cambio dello Stato più debole.
Utilizzando i precedenti  appena citati, vediamo dunque come si svolgerebbe un’eventuale rottura. Prima che a qualcuno prenda paura: questo scenario è di gran lunga il meno probabile, e leggendo fino in fondo si vedrà perché.
La popolazione si sveglia una mattina, quasi sempre di Domenica dato che le banche sono chiuse, ed apprende che da oggi un euro è diventato X nuove Lire, Dracme etc. Fin qui ovviamente l’immaginazione di molti si sarà già spinta. La maggior parte delle persone non avrà però pensato alle conseguenze inevitabili, a meno che altri provvedimenti vengano presi contestualmente. Lunedì mattina si creano code agli sportelli delle banche perché tutti vogliono ritirare i loro soldi e/o cambiarli in un’altra valuta (o semplicemente vengono intasati i server degli istituti di credito da operazioni di bonifico su estero). Infatti si penserebbe, con buone ragioni, che la nuova (vecchia) moneta si svaluterebbe rapidamente contro altre monete più forti. Questo porterebbe con ogni probabilità al collasso del sistema bancario prima ancora che lo facessero le partite di debito denominate in moneta forte. L’unico modo per evitare il collasso sarebbe annunciare, contestualmente all’introduzione della nuova (vecchia) valuta limiti di ritiro dai conti correnti e, soprattutto, limiti all’espatrio di capitali ed al libero movimento di merci e persone oltre confine. Questi limiti sarebbero in contrasto con i trattati costitutivi dell’Unione Europea. Un collasso dell’Euro sarebbe quindi inevitabilmente legato alla disgregazione, o almeno alla sospensione con prospettive di forte ridimensionamento, dell’Unione stessa. Tutto questo probabilmente non salverebbe le banche, che avrebbero bisogno di iniezioni di capitale massicce dallo Stato.
Prima di pensare che questo sarebbe auspicabile inviterei a considerare che le conseguenze sarebbero indesiderabili per tutti, in particolare per i Paesi esportatori, tra cui anche l’Italia. Chi ha più da perdere da un ridimensionamento dell’Unione è ovviamente la Germania, l’esportatore più forte soprattutto intra-Eurozona, che subirebbe il doppio effetto di una rivalutazione drastica della propria valuta e di nuovi limiti al libero movimento di merci. Già questo spiega perché un collasso dell’Euro è improbabile: costerebbe alla Germania molto più di mantenerlo in piedi (vedi ‘la Germania e l’apprendista stregone’).
Le conseguenze di una rottura, però, non si limiterebbero a quelle appena descritte. Quelle sulle aziende sarebbero anche più pesanti. Infatti molte delle partite commerciali anche di piccole imprese sono ormai internazionali. Ad esempio un’azienda spagnola che deve pagare un fornitore francese in Euro vedrebbe il suo debito aumentare per effetto della svalutazione della Peseta contro il Franco. Le interconnessioni sono tante e tali che una serie di fallimenti a catena sarebbero probabili. Ovviamente questo porterebbe ad un aumento esponenziale della disoccupazione in tutta Europa. Alla fine l’unico modo per evitare una serie di fallimenti a catena negli Stati che lasciassero l’Euro sarebbe stampare moneta, il che porterebbe ad una spirale inflattiva che finirebbe per non riuscire a contenere significativamente i fallimenti ma creerebbe ancora maggior distruzione di ricchezza.
Dato quanto sopra, quindi, è molto improbabile che una rottura dell’Euro venga ammessa, non ultimo perché danneggerebbe di più proprio chi oggi si oppone a misure monetarie drastiche, ovvero la Germania.
A questo punto viene da chiedersi se i politici tedeschi sappiano tutto questo. La risposta, con ogni probabilità, è che lo sanno, ma forse pensano di poter arrivare alle elezioni del 2012 prima di mettere in atto l’inevitabile. Dubitiamo che avranno questo lusso, in quanto la funzione esponenziale (sempre lei) sta già esercitando la sua pressione.

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