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Friday 20 January 2012

Se i vecchi vanno in pensione più tardi è più, non meno, facile trovare lavoro per i giovani.

Si sente dire sempre più spesso da persone, soprattutto politici, male informate (o in malafede) che ritardare l’età pensionabile renderebbe più difficile per i giovani trovare lavoro: invece è l’esatto contrario, e lo dimostriamo con argomenti logici e con la teoria economica. Per chi non avesse voglia di leggere tutto una premessa: la logica e la teoria economica, che da questa in fondo deriva, dicono la stessa cosa dei numeri, che riportiamo in fondo.
Prima la logica, che per gli ammiratori della Scuola di economia austriaca è la luce che guida la teoria economica.
Ebbene, affermare che prima vanno in pensione i vecchi, più posti di lavoro si ‘liberano’ per i giovani presuppone che il numero dei posti di lavoro disponibile sia fisso e che i giovani prendono il posto lasciato dai vecchi. Alternativamente la logica potrebbe funzionare se ci fosse una sorta di ‘coda’ per cui ad esempio i sessantenni, al momento del pensionamento, lasciano il posto ai cinquantenni, i cinquantenni di seguito ai quarantenni e così via. Il primo ovvio problema è che quest’ultima ipotesi richiede che le competenze richieste sul lavoro siano costanti o simili nel tempo, tanto da poter essere imparate e perfezionate in modo costante da tutti. Si presuppone anche che gli avanzamenti di carriera avvengano esclusivamente per anzianità e mai, o solo rarissimamente, per merito. Questi difetti logici sono abbastanza gravi, ma prendiamo comunque tutto per buono.
Il vero problema con il ragionamento di cui sopra è che, ammesso come dobbiamo per farlo funzionare che il numero dei posti di lavoro fosse fisso, il tasso di disoccupazione dovrebbe crescere con l’aumento della popolazione. Infatti è ovvio che una popolazione in crescita significa più giovani che entrano nel mondo del lavoro che vecchi che lo lasciano. Il tasso di disoccupazione però non solo non aumenta all’aumentare della popolazione, ma addirittura diminuisce. Il grafico sotto riporta la popolazione italiana (in milioni, scala a destra) ed il tasso di disoccupazione in Italia (in percentuale, scala a sinistra) dal 1983 ad oggi.


In questo periodo tra l’altro non solo si è avuto un aumento della popolazione, evidente dal grafico, ma anche un progressivo aumento dell’età pensionabile. Da una semplice osservazione del grafico appare già chiaro che la disoccupazione non solo non aumenta all’aumentare della popolazione, ma addirittura diminuisce.
Per gli amanti dei numeri la correlazione è -58%.
Esaurita la dimostrazione per assurdo, tanto cara ad Occam (filosofo, non economista: si rassicurino pure i non economisti), chiediamo aiuto alla teoria economica per cercare di spiegare il fenomeno.
Tutti gli economisti, incluso Marx (il fatto che non fosse davvero un economista ignoriamolo) sono d’accordo nel dire che il lavoro crea valore. Questo significa che una maggior quantità di lavoro crea maggior valore, e perciò maggiore crescita. La crescita porta poi ad un aumento della domanda di beni e servizi (dovuta nel nostro caso anche ad un semplice aumento della popolazione: più gente ha bisogno di mangiare, vestirsi etc.) che fa aumentare l’occupazione. Fin qui la teoria economica.
Purtroppo, come al tempo di Galileo gli aristotelici si rifiutavano di guardare i risultati degli esperimenti del grande pisano pur di non dover ammettere che Aristotele (o meglio la loro interpretazione dei suoi scritti) aveva torto, ancora oggi ci saranno coloro che affermeranno che quanto sopra non basta, che è solo teoria (anche se abbiamo riportato numeri) e così via.
Ebbene per essi ci sono studi empirici. Qui citiamo quello del Dipartimento di Industria e Commercio britannico del 2003 (governo laburista: non lo si accusi quindi di essere di destra ultraliberale). A partire da pagina 60 (70 del pdf) viene dimostrato con dati empirici di diversi Paesi che ritardare l’età pensionabile non fa aumentare la disoccupazione giovanile. Agli scettici buona lettura al seguente link:

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